Marina Abramovic

L’arte deve colpirti come un fulmine.

 

Marina Abramovi? non è solo un’artista: è un’esperienza vivente. Nata a Belgrado nel 1946 da genitori partigiani, cresce in un ambiente austero e militare, ma fin da giovane rompe le barriere della disciplina attraverso l’arte. Marina non dipinge, non scolpisce: Marina mette in scena il corpo, il proprio corpo, e lo trasforma in messaggio, in atto radicale. È la pioniera della performance art.

Negli anni ’70 inizia a esplorare i confini estremi tra artista e pubblico, tra presenza e assenza, tra sofferenza e trasformazione. In “Rhythm 0” (1974), si offre passivamente per sei ore al pubblico, con 72 oggetti – tra cui una rosa, una pistola e una lama. Le reazioni variano dalla tenerezza alla violenza, e la performance resta una delle più inquietanti e memorabili della storia dell’arte. Marina mostra quanto l’essere umano possa cambiare se si sente autorizzato. E quanto coraggio serva per essere vulnerabili.

Con Ulay, suo partner artistico e sentimentale, compie performance iconiche, come l’attraversamento della Grande Muraglia cinese: un cammino di 2.500 km che culmina in un addio. Nel 2010, con “The Artist Is Present”, resta seduta per ore al MoMA di New York, semplicemente guardando negli occhi chi si siede davanti a lei. Lacrime, emozioni, trasformazioni.

Marina Abramovi? non si è mai tirata indietro di fronte al dolore, al rischio, alla nudità dell’essere umano. È l’arte fatta carne, sguardo, presenza. Un’icona contemporanea che ci obbliga a guardarci dentro.

Durante una performance in Danimarca, Marina rimase immobile in mezzo a un cerchio di fuoco. Svenne per mancanza d’ossigeno e fu salvata dal pubblico: un momento in cui la finzione artistica ha toccato davvero il limite tra vita e morte.

ICONICOMIX la celebra 

perché Marina Abramovi? ha rivoluzionato il concetto stesso di arte, trasformandola in un’esperienza viva, carnale, emotiva. Ha reso il corpo linguaggio e la presenza una forma di verità. 

È l’artista che ha spinto più in là ogni confine, facendo del dolore, della relazione e della vulnerabilità strumenti di coscienza collettiva.

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