L’arte era la sua lingua, la libertà la sua firma.
Nato a Brooklyn nel 1960, Jean-Michel Basquiat è stato un uragano creativo che ha infranto le barriere tra arte di strada e arte museale. Figlio di un padre haitiano e di una madre portoricana, cresce tra dizionari, enciclopedie e visite al MoMA.
A 17 anni è già un artista ribelle: firma le strade di New York con il nome SAMO, lasciando messaggi criptici e poetici sui muri della città. In pochi anni passa dai graffiti ai grandi quadri venduti alle gallerie più importanti del mondo. Ma Basquiat non smette mai di essere affamato di verità.
Nei suoi dipinti esplosivi si fondono parole, anatomia, cultura afroamericana, jazz e rabbia. Il suo tratto è primitivo, istintivo, vivo. La corona che spesso disegna diventa il suo simbolo: Basquiat incorona gli emarginati, i neri dimenticati dalla storia, i suoi eroi. Nel caos dei suoi quadri c’è ordine, nella furia del colore c’è coscienza politica.
A soli 22 anni diventa il primo artista afroamericano a entrare nella scuderia di Warhol. Il loro rapporto è intenso, burrascoso, creativo. Quando Warhol muore, Basquiat inizia a spegnersi. Muore per overdose a 27 anni, lasciando un’eredità artistica potentissima e un segno che non si cancella.
Durante una mostra a Modena nel 1981, Basquiat dipinse direttamente sul pavimento di una galleria con uno spray, senza avvertire nessuno. Il gesto fu visto come vandalismo e quasi interruppero l’evento — oggi quella macchia è considerata parte dell’opera.
ICONICOMIX lo celebra
perché Baquiat è icona di ribellione, fusione culturale, verità scomoda. Ha dato voce visiva all’identità nera, al dolore, alla gloria degli invisibili.
Con le sue corone, ha incoronato l’arte come arma sociale.